Dopo aver affrontato l’implacabile fiera delle polemiche scaturite dalla distribuzione di diversi spoiler in rete, rinvii sempre più pressanti e utenza ribelle pronta a puntare il dito al minimo accenno di debolezza, The Last of Us Parte II — il titolo più misterioso, affascinante ed atteso nella storia del mercato del videogioco — arriva ad armi scoperte e senza alcuna pretesa, imponendosi come un vento ostile che ci trascina, irreparabilmente, verso i cupi corridoi del distacco e della paura.
The Last of Us Parte II è una plumbea dissolvenza, una prospettiva rarefatta e precaria della vita che si presenta al giocatore attraverso un languore monotono che accompagna, accarezza e percuote. L’urlo straziante della vendetta e della privazione e quel solco, profondo e spettrale, che dilania le carni e spira in un ultimo rantolo — è il sussurro di Ellie, elegia al tormento, che arriva a sfiorarci come un’amante in attesa di una carezza ma che conclude la sua caduta divenendo carcassa deprivata della luce. Un viaggio, tenebroso e quasi patetico, compiuto per colmare una voragine fin troppo assordante.
Non è il viaggio di Ellie, non è un viaggio di redenzione, non è un viaggio di vendetta. È il viaggio di tutti, è la speranza che ci sia altro, che ci sia di più, abbastanza da agguantare l’infinito universo e finalmente riposare — liberi e mai più soli.
È poesia che libera l’anima, l’ultimo inaspettato regalo di Naughty Dog nonché l’esclusiva da record di Sony; e questa è la nostra recensione, un inno alla vita, una disamina dei suoi punti più importanti e rivoluzionari.
La storia di The Last of Us Parte II comincia in modo inaspettato, impostando un’atmosfera che sembra schiacciare il giocatore sotto un’ansia ingiustificata che prende concretezza a poche ore dall’inizio dell’avventura attraverso un evento traumatico che indurrà anche i più coriacei a versare una lacrima di troppo — per la rabbia, per il dolore. Il titolo gioca su questo binomio, trascinandoci su un cammino fatto di violenza e paura, solitudine e privazione.
Dopo quattro anni dagli eventi del primo titolo, ritroviamo Joel ed Ellie impegnati in una vita ordinaria tra le mura di Jackson, una delle poche e floride comunità sopravvissute alla pandemia. Il virus sembra fare, durante queste prime fasi, da sfondo all’intera produzione, una presenza tacita ma costante che ricorda il motivo per il quale siamo giunti tra queste stesse mura asfissianti, senza alcuna parvenza di equilibrio.
Perché nonostante la pace e la relativa sicurezza di una neo società emergente come quella di Jackson, vi è un filo sottile che ci riconduce alla menzogna, alla bugia, al senso di colpa percepito nel finale del primo titolo che come una metastasi si approprierà della scena, man mano delineando il vero senso del viaggio intrapreso da Ellie — un viaggio che, come hanno anche confermato gli sviluppatori, è una metafora dell’emozione e dell’interpretazione di chi, pad in mano, cerca di dare un senso a tutti gli eventi e colpi di scena su schermo.
Un viaggio di riscatto, vendetta, desiderio di rivalsa e ricerca spasmodica di catarsi, purificazione finale.
A differenza del suo predecessore, questo sequel — anzi, questa seconda parte — ci rivela sin da subito le sue intenzioni, attraverso un ritmo di narrazione molto più serrato. Dal punto di vista temporale, infatti, l’intera vicenda si svolgerà in pochi giorni, condensata all’inverosimile e serrata in modo tale da contribuire, assieme ad altri elementi chiave, ad una sensazione di continua allerta e l’impressione di non poter mai essere al sicuro.
Panacea dei mali e allegoria della caducità della tregua è una chitarra che con le sue calde melodie scandirà il susseguirsi delle varie giornate, trascinando dietro di sé il peso della memoria e della mancanza.
Il ricordo è effettivamente un elemento importante della produzione, tanto da impegnarci in lunghe sequenze di flashback nelle quali ci sembrerà di rivivere momenti perduti e preziosi, tanto da volerli stringere al petto senza mai farli scivolare via — sono morsi, piccole e dolci inezie che ci restituiscono, attraverso un impressionante livello di interazione emozionale e di forza empatica, la voglia di approfittare di ogni piccola goccia di pioggia nell’arido deserto della vita da superstiti, dove si sopravvive alla costante perdita della propria anima, dei propri affetti.
La profonda caratterizzazione di ogni singolo personaggio comunica fermezza e passione da parte di tutto lo staff esecutivo, e soprattutto una professionalità che raggiunge livelli tali da sancire un nuovo standard nell’industria videoludica — The last of Us Parte II mostra una cura maniacale per i dettagli, per i volti degli NPC e per gli infetti, sempre più mostruosi ed aberranti.
I dettagli trascendono la mera dimensione estetica, arrivando ad intaccare l’interiorità e la spiritualità di ogni singolo volto mostrato. Non saremo di fronte ad una massa indistinta di nemici, ma dinnanzi l’intera umanità e ad un’infinita varietà di anime smarrite. Sarà difficile se non impossibile non empatizzare con quegli estranei, non sentirsi a loro affini quando, appostati sotto un camion e in attesa di aggredirli per poter proseguire, sentiremo le loro storie, le sottili speranze che pateticamente rivolgono gli uni agli altri e il forte desiderio di abbracciare i propri cari. Li sentiremo parlare e conversare, lamentarsi dei lunghi ed estenuanti turni di lavoro. Capiremo che anche loro hanno storie, e attraverso anche una narrazione sommersa (ma non per questo trascurata e trascurabile) fornita dai dossier, realizzeremo che non esistono buoni o cattivi, così come non vi è più traccia di moralità e di quei dogmi che appartengono, ormai, al Vecchio Mondo, così come viene definito dagli stessi Serafiti.
Lupi (WLF) e Iene (Serafiti) si scaglieranno gli uni contro gli altri, combattendo allo sfinimento una guerra perpetrata per motivazioni ormai perdute — il Cordyceps ha brutalizzato anche quei primitivi ed opachi espedienti, cedendo il posto all’opprimente inerzia. La nostra storia comincia nel fuoco incrociato, a stretto contatto con gli stessi gruppi che vengono poi massacrati e decimati da Clicker, Runner, ed i nuovi temibili Shambler. In questa commistione di sottotrame e affari sospesi riusciremo a ritagliarci un nostro spazio, uno squarcio che destabilizzerà la vita di tutti.
Il gioco ci restituisce l’impressione d’essere solo un banale elemento dell’equazione, e che piuttosto è la somma di tutti coloro che ci accompagnano a rendere l’esperienza unica ed irripetibile — Dina ci mostra, più e più volte, la via d’uscita dal tormento provato, la consapevolezza che si può restare fedeli a se stessi e alla propria morale perfino in un mondo duro come quello in cui siamo calati. Ed ancora, Jesse incarna perfettamente il senso di appartenenza e cameratismo, qualità ormai rare e perdute.
Non siamo di fronte a persone qualsiasi, ma dinnanzi la rappresentazione dell’umanità intera e della sua incredibile varietà. Un messaggio forte, solidale seppur talvolta dissacrato dalla violenza delle fazioni, un memento all’umano, troppo umano nietzschiano.
Il mondo post apocalittico ha cambiato molte cose, come la percezione della moralità, il divario decisionale tra giusto e sbagliato e i mezzi attraverso i quali catalizzare il duro lavoro della sopravvivenza. In un mondo dove tutto è concesso non vi sono più regole ferree — ci renderemo conto di trovarci in uno scenario addirittura più cruento del primo titolo, dove la violenza fa da padrona. Il gameplay si adatta poco a poco a questa nuova visione, con scene di combattimento più sanguinose e lunghe esecuzioni in cui vedremo spirare tra le nostre braccia nemici ignari, sgozzati e strappati alla vita. Non saranno rare le occasioni in cui ci troveremo addirittura a distogliere lo sguardo, assieme ad Ellie, conscia di star superando ogni limite.
L’affanno e la fatica della battaglia ci entreranno sotto la pelle, sgusciando sin dentro le nostre coscienze per scuoterle — e così improvvisamente tutto ci sembrerà nauseabondo, e proveremo probabilmente quello che ha provato Ellie, in un dialogo così profondo e sincero tra utente e personaggio che sentiremo rinnovato il rapporto tra le nostre pulsioni e ciò in cui abbiamo creduto fino a quel momento.
Gli stessi avversari saranno più spietati e più abituati alle rinnovate regole della vita attuale, avvalendosi anche di cani addestrati a seguire le nostre tracce, pronti a stanarci senza darci mai tregua. È proprio questo che caratterizza il gameplay di TLOU 2: la mancanza di respiro, il ritmo serrato e l’assenza di quel tempo utile a processare tanta devastazione, tanta disumanità.
La rinnovata verticalità degli ambienti e la possibilità di sgusciare sotto le macchine per trovare rifugio non dev’essere vista come semplificazione del gameplay, ma come un atto intensivo che va piuttosto a rimpolpare saldamente il livello di sfida. L’intelligenza artificiale dei nostri avversari, punto controverso del primo titolo ampiamente criticato, è non solo migliorata ma umanizzata e razionalizzata più di quanto potessimo aspettarci — non basterà restare immobili e nascosti, poiché gli aguzzini finiranno con lo stanarci, soprattutto avvalendosi di manovre collaborative con gli altri compagni.
La rabbia di Ellie, la spietata crudezza attraverso la quale agisce — seppur tormentata dal senso di colpa — e il continuo senso di pressione che ci comunica attraverso il pad e lo schermo sono procedimenti osmotici che ci portano al termine dell’avventura, dopo circa trenta ore, deprivati di quella serenità che, tutto sommato, abbiamo ravvisato a piccoli bocconi nel primo titolo.
Con il passare del tempo non è solo la moralità ad essersi indurita, ma anche l’ingegno bellico. In questa seconda parte potremmo craftare numerosi oggetti inediti, tra i quali possiamo sicuramente annoverare bombe stordenti e bombe da piazzamento che serviranno a restituire dinamicità alle nostre tattiche. L’approccio al combattimento è infatti variegato, ma questa volta la troppa avventatezza potrebbe punirci — come infatti già anticipato, il livello di sfida è alto anche alla difficoltà standard, elemento di encomiabile valore che tuttavia non sarà ostico da destreggiare con il dovuto impegno. Le meccaniche di mira con l’arco sono nettamente migliorate, così come espedienti che strizzano l’occhio ad un approccio stealth veramente riuscito: sarà possibile creare silenziatori per le proprie armi, accessori aggiuntivi di puntamento e modifiche importanti alla struttura delle armi (tramite il classico “pagamento” ad ingranaggi).
È da questo punto in poi che il gioco si rivelerà completamente al giocatore. The Last of Us Parte II accoglie una commistione di stili raffinati, fondendo scene di intermezzo a sprazzi di puro e ludico gameplay. Talvolta sarà complesso discernere le sequenze cinematografiche da quelle interattive, in un continuum calibrato che creerà la giusta armonia di gioco, traguardo purtroppo non raggiunto dal primo titolo — forse ancora troppo ancorato alla sola narrativa.
Sebbene il titolo afferisca all’action di stampo survival, è però chiaro che le fasi stealth e quelle di farming di materiali non sono state inserite come sfondo passivo ma anzi, rappresentano il cuore pulsante di una produzione così equilibrata da sancire l’effettivo raggiungimento della perfezione generazionale. Esplorazione e azione sono le chiavi di lettura di quest’opera, indubbiamente accompagnate da un profondo impianto narrativo che non delude mai, gusti permettendo.
Anche l’aggiunta di mezzi di trasporto è notevole: le scene a cavallo, sebbene sporcate da qualche glitch nell’animazione dell’animale, spezzano piacevolmente il ritmo adrenalinico della corsa. Anche le scene in barca sono, allo stesso modo, inserite in un contesto ad hoc: è proprio questo il segreto della produzione, il fatto che ogni elemento è perfettamente amalgamato alla storia, funzionalmente al viaggio intrapreso da Ellie che tra alti e bassi ci condurrà sazi e (forse) soddisfatti sino alla fine.
Dopo la prima e forse più estenuante parte di gioco, ci verrà presentato l’audace open map realizzato da Naughty Dog. Non si tratterà, ovviamente, di un vero e proprio pretesto alla libertà, ma piuttosto di una sezione liberamente esplorabile che ci permetterà di recuperare materiali utili e di attivare preziose scene di intermezzo tra Ellie ed i suoi alleati. Un invito a gettare uno sguardo anche alla storia pregressa dei personaggi. Allo stesso modo anche gli ambienti sono stati ridisegnati per dare l’idea della spazialità: sarà possibile sfruttare fessure per potersi muovere agevolmente da una stanza all’altra, utili a confondere i nemici o a fermare l’inarrestabile corsa degli infetti, più coriacei e determinati a toglierci la vita.
Parlando di quest’ultimi, è doveroso segnalare un impianto di customizzazione senza precedenti. Sarà possibile, infatti, assegnare livelli di difficoltà diversi ad ogni nostro avversario, fornendo anche una salda differenziazione tra esseri umani e infetti. Si potrà azzerare la loro intelligenza, renderli inerti, addirittura agire sull’ambiente ed impostare comandi di mira assistita ed altre facilitazioni che, soprattutto in NG+, segneranno una differenza sostanziale e sicuramente un divertimento equilibrato per coloro che vorranno magari cimentarsi a platinare il titolo.
Il comparto tecnico di The Last of Us Parte II lascia senza parole, un capolavoro senza precedenti nell’industria videoludica.
La colonna sonora, sapientemente gestita dallo stesso Gustavo Santaolalla, ha note più cupe ed un ritmo più ansiogeno, serrato e spietato — la perfetta sintesi di quello che è il viaggio di Ellie, l’avvicendarsi perpetuo di avvenimenti che quasi ci educheranno al trauma, alla percezione del dolore. Tutto agisce in funzione della narrazione che ci ammanta in un abbraccio parassita, privandoci a poco a poco di quella luce ravvisabile a sprazzi nel predecessore che qui sembra essersi definitivamente spenta. Per sempre.
L’illuminazione e i dettagli ambientali restituiscono un livello estetico superlativo, con un impressionante e sapiente utilizzo delle texture. Le espressioni facciali dei personaggi, il colore della loro pelle, le rughe d’espressione — The Last of Us Parte II è come un’opera teatrale cullata da ritmi insostenibili, tanto che spesso ci ritroveremo a dover prendere una boccata d’aria per l’intensità gravosa che permea ogni singolo passo compiuto da Ellie.
Le aree di gioco sono tutte perfettamente diversificate, tanto da contribuire ad un senso di ineluttabile alienazione che ci indurrà a correre, a scappare, alla ricerca di un luogo familiare che possa dunque proteggerci.
Non ci sono parole più adeguate di “capolavoro” ed “imperdibile” per descrivere l’incredibile livello qualitativo nascosto dietro il titolo di Naughty Dog. The Last of Us Parte II restituisce quel senso di soddisfazione e piacere che da ormai troppo tempo era scomparso dal panorama videoludico; un viaggio inestimabile che ci spezzerà sotto il flusso della sua intensità, una poesia corrosiva sulla pelle e un risveglio dell’anima. Vivere attraverso gli occhi di Ellie non è mai stato così difficile.
0 comments