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La storia degli October Tide è stata da sempre intrecciata con quella dei Katatonia, band seminale del death/doom svedese e poi creatura dal multiforme ingegno, a cavallo tra alternative, new wave e metal. Fredrik Norrman e Jonas Renkse, rispettivamente chitarra e voce degli scandinavi, fondarono gli October Tide nel 1995 per continuare l’opera iniziata con l’album “Dance of December Souls”, una sorta di unicum nella carriera dei Katatonia, i quali svilupparono ulteriormente quel suono con il capolavoro “Brave Murder Day” per poi affrancarsene poco dopo. I due album pubblicati sul finire del Novecento, “Rain Without End” e “Grey Dawn”, furono accolti con clamore, trattandosi di ottime prove di death/doom. Poi il nulla, finché Norrman, lasciati i Katatonia, ha riportato in auge l’antico nome degli October Tide. Detto francamente, “A Thin Shell”, primo album del ritorno in attività della band, è discreto e nulla più, addirittura fuori fuoco in certi passaggi.
Nonostante una certa dose d’iniziale scetticismo, “Tunnel of No Light” si presenta invece con ben altre credenziali. Coadiuvato al basso dal fratello Mattias e forte del nuovo cantante Alexander Högbom, nel nuovo lavoro Fredrik Norrman offre finalmente un songwriting davvero credibile: non più un tentativo di emulare gli antichi fasti del passato, bensì la voglia di scrivere pagine nuove nel libro del death/doom (per quanto non sia propriamente facile scostarsi dai classici stilemi del genere). Il risultato è più che positivo e fa immergere l’ascoltatore nel mondo decadente e oscuro degli October Tide, nel tunnel privo di luce che dà il titolo al disco. Il lavoro alle chitarre di Fredrik è ottimo, disinvolto, ed è lo specchio di ciò che è stato il suo stile nel corso di una lunga carriera: da riff monolitici ad aperture più malinconiche, passando per chitarre pulite e arpeggi. Su tutti, convince pienamente la prova di Högbom alla voce, capacissimo nell’alternare growl di scuola Opeth a screams convincenti. La qualità dei pezzi è buona ed equilibrata nell’arco dei cinquanta minuti dell’album, nonostante qualche momento più sottotono.
Nel complesso, un gradito ritorno per una band che deve ancora trovare la quadratura definitiva, ma che dimostra di avere tutte le carte in regola per dire la sua nel sempre più ricco panorama death/doom, a partire dall’album in questione. Senza paura di fare i conti con un passato ormai lontano più di un decennio.
Livio Ghilardi
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